La lettera del Dott. Pietro Cavalli, medico, intrisa di sarcasmo, dipinge un quadro caricaturale della professione di psicologo e della proposta dello psicologo di base, quasi suggerendo che siano essi i responsabili delle criticità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Questa visione, seppur provocatoria, rischia di offuscare una realtà ben più complessa e sfaccettata.

Le criticità del SSN sono ben note e ampiamente dibattute:

  • carenza di personale: medici di base che vanno in pensione senza essere sostituiti, reparti ospedalieri sotto organico, turni massacranti per infermieri e operatori sanitari;
  • liste d’attesa infinite: mesi, se non anni, per una visita specialistica o un esame diagnostico, con gravi conseguenze per la salute dei pazienti;
  • disuguaglianze territoriali: accesso alle cure diverso a seconda della regione di residenza, con cittadini di serie A e cittadini di serie B;
  • tagli ai finanziamenti: risorse sempre più scarse, che costringono a scelte difficili e a rinunciare a investimenti importanti;
  • fuga dei cervelli: i nostri migliori professionisti sanitari, formati con soldi pubblici, costretti a cercare fortuna all’estero per mancanza di opportunità e riconoscimenti adeguati.

Questi problemi sono il frutto di anni di politiche sanitarie miopi, scelte economiche discutibili e una gestione spesso inefficiente delle risorse. Ridurre tutto alla questione dello psicologo di base è un’operazione di distrazione di massa, un modo per deviare l’attenzione dai veri responsabili del declino del SSN che non sono sicuramente gli psicologi o la psicologia. Forse è lo stesso retropensiero alla base del ragionamento dell’Autore dell’articolo: i decisori politici deviano l’attenzione mediatica promuovendo la psicologia e lo psicologo di base per distrarre l’opinione pubblica, il cosiddetto “fumo negli occhi”.

La psicologia, lungi dall’essere la causa dei mali del SSN, può invece rappresentare una risorsa preziosa per affrontarli. La salute mentale è una componente fondamentale del benessere generale e ignorarla significa compromettere la qualità della vita delle persone e la sostenibilità del sistema stesso.

La proposta dello psicologo di base va proprio in questa direzione: offrire un supporto psicologico di primo livello, accessibile a tutti i cittadini, può contribuire a:

  • prevenire i disturbi mentali: intervenendo precocemente sui fattori di rischio, come stress, ansia, isolamento sociale;
  • affrontare i disturbi mentali: offrendo un primo supporto psicologico e indirizzando verso percorsi di cura più specialistici quando necessario;
  • ridurre il ricorso a cure più costose: prevenendo l’aggravamento dei disturbi mentali e l’ospedalizzazione;
  • migliorare la qualità della vita: aiutando le persone a gestire meglio le proprie emozioni, a sviluppare strategie di coping e a costruire relazioni più sane;
  • aumentare la produttività: riducendo l’assenteismo lavorativo e migliorando il clima aziendale.

Investire in psicologia non significa sottrarre risorse ad altre aree della sanità, ma creare un sistema più efficiente ed equo. La prevenzione e la cura dei disturbi mentali sono un investimento che genera un ritorno economico significativo in termini di riduzione dei costi sanitari, aumento della produttività e miglioramento della qualità della vita.

Si prenda, ad esempio, la storica sentenza n. 143/24 della Corte Costituzionale del 23/07/24 (ieri) in tema di rettificazione di attribuzione sesso. La Corte stabilisce che:

6.2.3.– Nella fattispecie concreta di cui al giudizio principale si verte appunto in un caso di questo tipo, poiché l’ordinanza di rimessione sottolinea come l’attore per rettificazione abbia «sufficientemente dimostrato – attraverso il deposito di idonea documentazione dei trattamenti medici e psicoterapeutici effettuati – di aver completato un percorso individuale irreversibile di transizione».

Anche in tal caso, quindi, pur potendo seguire la pronuncia della sentenza di rettificazione, in funzione di un maggior benessere psicofisico della persona, l’intervento chirurgico di adeguamento dei residui caratteri del sesso anagrafico non è necessario alla pronuncia medesima, sicché la prescritta autorizzazione giudiziale non corrisponde più alla ratio legis.

E ancora:

La sentenza n. 180 del 2017 ha quindi ribadito – come già visto – che agli effetti della rettificazione è necessario e sufficiente l’accertamento dell’«intervenuta oggettiva transizione dell’identità di genere, emersa nel percorso seguito dalla persona interessata».

Potendo questo percorso compiersi già mediante trattamenti ormonali e sostegno psicologico-comportamentale, quindi anche senza un intervento di adeguamento chirurgico, la prescrizione indistinta dell’autorizzazione giudiziale denuncia una palese irragionevolezza: in tal caso, infatti, un eventuale intervento chirurgico avverrebbe comunque dopo la già disposta rettificazione.

Alla luce di ciò, l’intervento psicologico contribuisce a superare l’autorizzazione del Tribunale e nel 2024 ancora c’è chi sostiene che gli interventi psicologici siano caratterizzati da «assenza di evidenza»?

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